ALOVINI Cabanico 2015

CONTAMINAZIONI

A quanto pare in casa Alovini piacciono le contaminazioni ed i giochi di parole, già a cominciare dal nome di questa cantina della Basilicata, a cui Oronzo Alò ha dato le radici, storiche e fonetiche (Alo-vini) ed anche l’approccio a questo vino inizia con un calembour giocato sul nome dei due vitigni che ne caratterizzano la produzione, il tuttofare Cabernet Sauvignon e l’Ellenico Aglianico (siamo in Basilicata, e pur sempre di Magna Grecia parliamo).
I vitigni Alovini si sviluppano intorno ai Laghi di Monticchio, molto simili ai più familiari, per noi romani, laghi di Albano e Nemi, e già questo ci dice qualcosa del territorio, il Volture, tipicamente vulcanico.
Non essendo una DOC(G) o un VQPRD (Vino di Qualità Prodotto in Regione Determinata) non c’è un disciplinare da rispettare, il vino prevede comunque, dopo la vinificazione in tini d’acciaio, un affinamento per almeno 9/12 mesi in botticelle di rovere (l’Aglianico) ed in botti di media portata (il Cabernet) oltre ad un ulteriore affinamento in bottiglia per almeno 9 mesi.

Valutazione visiva

Si “accede” (vi avevo avvertito che sarebbero state degustazioni popolari e popolane!) al vino stappando un tappo in sughero compatto, senza venature o macroimperfezioni superficiali, che ci fanno intuire che l’intento è la conservazione a medio/lungo termine, come i 5 anni della bottiglia in degustazione possono già testimoniare,  e con il “disciplinare” interno che ci aveva già “instradato”,  con l’uso del resistente Cabernet e l’affinamento in barrique di rovere, almeno per l’Aglianico.
Il colore è intenso, le sfumature del rosso tendono al porpora, con la tendenza al granato ai bordi in controluce, nel complesso decisamente invitante (viene quasi da saltare la valutazione olfattiva per capire subito “di che sa”!).
Anche gli archetti sono compatti e persistenti, con il bordo a formare una sinuosa e consistente cornice.

Valutazione olfattiva

Al naso arrivano immediate le molecole più eteree che danno quella sensazione “vinosa” (l’odore che percepiamo quando scendiamo in cantina, avete presente?), spostandosi quasi subito su quelli più attesi di frutta scura, in particolare di prugna (in questo caso secca o disidratata), per poi sfumare su sentori mano mano più speziati, come la delicata cannella o il più intenso (ma non invasivo) zenzero, delicati e presenti anche ad “aspirazioni” successive.

Valutazione gustativa

Non ci condizionino le letture sull’affinamento, ma si sentono subito i tannini della barrique, con le “rotondità” che sembrano tardare ad arrivare, ma l’impegno del marchio pare essere quello di fornire un prodotto stabile nel tempo, e senza tannini sappiamo che non si va lontani. Si comprende quindi anche la scelta dei due vitigni, il “granitico” Cabernet e l’endemico Aglianico e le diverse scelte di affinamento. Lasciando svanire il primo impatto tannico, se ne apprezza la mineralità (ricordate, il  terreno di coltura è vulcanico) con una leggera tendenza all’acidità, mentre non impatta alla gola l’indice alcolico dichiarato al 14%.
Le successive degustazioni a distanza di pochi minuti e successivamente di 4/5 ore dallo stappo restituiscono sensazioni simili, riprova della tendenza del prodotto alla stabilità.

Abbinamenti

Il territorio da cui viene questo vino ci riporta ad una alimentazione rurale che ha poi caratterizzato i menù nelle varie regioni d’Italia almeno fino all’immediato dopoguerra. Nello specifico il primo abbinamento odierno è stato con un piatto povero ma molto ricco di sapori come può essere l’agnello al forno con patate.
Il grasso animale, gli zuccheri rivenienti dai carboidrati complessi della patata si mescolano al sapore forte (sicuramente non edulcorato dal pompaggio ormonale a cui sono sottoposte molte delle carni bianche presenti nelle nostre tavole) della carne ovina, restituendoci un sapore inconfondibile.
La tannicità di questo vino e la leggera acidità smorzano in bocca la complessità del sapore del cibo, restituendo ad ogni nuovo boccone lo stesso iniziale gusto.
Uscendo dal seminato rurale un ulteriore abbinamento è stato con un filetto al pepe rosa (anche se di vero e proprio pepe non si tratta, ma di una bacca aromatica), in cui burro, panna, brandy e la succosa morbidezza del filetto (al banco Macchiagodena sanno scegliere bene) mettono stavolta alla frusta il nostro “cavallino” che necessiterebbe di una maggior robustezza e qualche grado alcolico in più per pulire la bocca da questo attacco gustativo su più fronti… lasciamolo quindi agli abbinamenti rurali!

Conclusioni

Da lodare il lavoro e l’estro della cantina Alovini che con questo “blend” ci restituisce un prodotto che avremo modo di (ri)provare anche più in là negli anni, sicuri che manterrà le premesse oggi riscontrate. Non per niente l’Aglianico (parliamo di vino, non di vitigno) è stato definito (con una definizione forse datata e poco rispettosa del Meridione) il “Barolo del Sud”. Un lavoro così non restituisce di certo un vino “semplice” alla pronta bevuta, e fortuna che il nostro territorio permette anche ed ancora di produrre vini così a chi ha voglia di provarci.

Ciao, e come sempre, buon vino a tutti.

Faber

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